Dipingere soldatini come nutrimento dell’anima e come missione da tramandare a chi verrà: si può riassumere così la passione di Sergio Franchi.

Livornese classe 1969 e di mestiere impiegato tecnico all’Accademia Navale, ha iniziato a collezionare soldatini fin da bambino. Da lì a poco ha cominciato anche a dargli vita tra una pennellata e l’altra, un’attività che oggi condivide con i figli. Tra ricordi, aspirazioni romantiche e qualche dritta per chi è alle prime armi, ecco le sue dichiarazioni per Soldatini Shop.

Per rompere il ghiaccio partirei con la domanda di rito: come è nata la passione per i soldatini?

Vedi, io sono nato alla fine degli anni ‘60, quindi si può dire che mi ci sono proprio trovato nel boom dei soldatini. All’epoca, non avendo ancora i giochi elettronici, ci si riduceva un po’ a scegliere tra soldatini e macchinine, e con entrambi si giocava molto per strada. Diciamo che era un classico della mia generazione.

 

Quindi è una passione che ti porti dietro da quando eri piccolissimo.

Sì, avevo tre o quattro anni al massimo quando ho cominciato a giocarci. Diciamo che sono diventati presto un chiodo fisso. Erano praticamente l’unico regalo che gradivo, a prescindere dall’occasione. Tant’è è vero che, senza esagerare, posso dire di essere arrivato presto ad avere migliaia e migliaia di soldatini.

Sergio Franchi collezionista di soldatini sin da bambino

Insomma, una vita tra i soldatini. Hai qualche aneddoto interessante che vorresti condividere su questo mondo?

Potrei dirtene tante. Dai negozi di quartiere in cui andavo a comprarli ai regali ricevuti dai nonni, passando per il ricordo legato a mia madre. Direi più in generale che mi porto dietro tanti spaccati di vita quotidiana legati al mondo dei soldatini.

 

Tra l’altro non ti limiti a collezionarli, ma ami anche dipingerli. Quand’è che hai cominciato?

Anche in questo caso relativamente presto, intorno ai dodici o tredici anni. Ho iniziato per gioco, poi quella di pittore di soldatini è diventata un’attività a tutti gli effetti. Da circa venticinque anni, infatti, lavoro su commissione. Per questo devo molto ad un produttore di soldatini della mia città, da cui acquistavo spesso. Ad un certo punto lui aprì un sito web per vendere i suoi prodotti e, sapendo di questa mia passione, mi propose di dipingerli per alcuni suoi clienti. Da allora, grazie a tanti suoi contatti, sono entrato in questo mondo affascinante. La ditta in questione, giusto per la cronaca, è la Waterloo 1815.

 

Questo dipingere i soldatini, per te, si può considerare una vera e propria attività redditizia o è più una passione?

No, la pittura è qualcosa, come posso dire… che mi nutre l’anima. Quando dipingo mi rilasso, stacco un po’ da tutto. Gli introiti ci sono, certo, ma sono piuttosto “simbolici”. Diciamo che, quando arrivano, li reinvesto subito per alimentare la mia collezione.

 

L’amore per i soldatini, dal collezionare al dipingere, è un qualcosa di unicamente tuo o lo condividi anche con familiari e amici?

Ho due figli maschi ed entrambi sono cresciuti vedendomi dipingere, fare modellismo, quindi si sono appassionati anche loro. Quello più grande ha un po’ tralasciato per via degli studi, mentre il più piccolo, che ora ha 15 anni, dimostra non solo grande interesse ma anche potenzialità importanti dal punto di vista artistico. Chiaramente, a differenza mia, ama lavorare su altri generi. Diciamo che noi “vecchietti” siamo più attratti da cowboy e indiani, loro (i giovani, ndr.) preferiscono cose come Star Wars o Il Signore Degli Anelli.

 

Sono davvero sorpreso. Devi sapere che qualche giorno fa abbiamo fatto un’intervista a Stefano Carini, un caro amico di Soldatini Shop nonché collezionista. È convinto che quella per i soldatini sia una passione destinata a scomparire col tempo, invece la tua esperienza dice il contrario.

Non gli do tutti i torti. I ragazzi di oggi vivono un mondo dove tutto è a portata di click, quindi è difficile coinvolgerli. A fare la differenza però, secondo me è l’approccio. Se mostri le potenzialità della pittura, i giovani si incuriosiscono e magari finiscono per appassionarsi.

 

Cosa ti verrebbe da suggerire in questo senso? 

Io inserirei queste attività nei programmi di scuola elementare, magari dei laboratori. Anche perché i ragazzi stanno perdendo molto il senso della manualità, della motricità fine, ed è un peccato. Magari, anche se si hanno interessi totalmente diversi, allenare questo aspetto è comunque importante, perché in qualche modo ci completa.

 

Davvero interessante. Credi molto in questa possibilità, a dimostrazione di come il percorso del singolo influisca tantissimo.

Assolutamente. Pensandoci bene, quello dei soldatini è a tutti gli effetti un mondo di nicchia. Io gestisco un gruppo Facebook di collezionisti e modellisti con più di settemila membri, e credo che tra questi gli under 40 siano davvero rari da trovare. Nonostante ciò però, se lo si fa conoscere nei modi giusti, ci si rende conto che qualche possibilità di tramandarlo c’è ancora. E allora mi viene da pensare “perché no?”. Io, finché c’è speranza, ci proverò sempre.

 

Tralasciando i soldatini, ti piace collezionare o dipingere anche altri oggetti?

Diciamo che ho trattato il modellismo un po’ in generale, mi sono occupato più o meno di tutto. Per farti un esempio, mi è capitato di ristrutturare anche modellini di navi. Col tempo però ho concentrato le mie forze su quello che era il mio interesse principale. Soprattutto in ottica collezionismo, poi, diciamo che ho dovuto darmi una regolata anche per motivi economici (ride, ndr.), visto che parliamo di una passione parecchio dispendiosa.

 

L’ottimizzazione del budget è senza dubbio una delle regole fondamentali. Per il resto, cosa consiglieresti a chi sta cominciando adesso a collezionare soldatini?

Direi che bisognerebbe darsi un obiettivo di partenza, che può essere collezionare un preciso periodo storico, o magari una determinata scala, altrimenti il rischio è di perdersi un po’ per strada. 

 

E per quanto riguarda, invece, la pittura dei soldatini?

Sulla pittura quello che faccio presente a tutti è di non cercare la perfezione e in generale di non farsi infatuare da ciò che si può vedere in giro di ben fatto. Certi obiettivi si raggiungono solo col tempo, o talvolta non sono nemmeno raggiungibili sul serio perché non si hanno le giuste capacità manuali. In questo senso mi piace pensare che il fallimento aiuti tanto. Bisogna sbagliare, ritornarci su, non farsi prendere dalla fretta né di finire né tantomeno di dover raggiungere immediatamente livelli altissimi. Va trovata la propria dimensione, insomma. Questo è quello che mi viene da dire sul lato pratico. Per il lato tecnico, invece, bisognerebbe creare uno spazio ad hoc. A proposito: in tanti mi hanno chiesto di fare dei video tutorial. Finora non mi sono ancora attrezzato, anche se ci ho pensato tante volte. Dai, promesso: prima o poi lo faccio…