Raccontare il passato dei giocattoli per dare loro un futuro: si può riassumere così Toystellers, un libro dedicato non tanto al collezionismo di per sé quanto alle emozioni che questo può suscitare, in appassionati e non.

D’altronde per Federico Ghiso, curatore del volume e pubblicitario di mestiere, raccontare è una necessità che viene da dentro. Nelle storie, per lui pane quotidiano, ha trovato un mezzo per dare vita ai giocattoli, suoi come dei collezionisti che ha intervistato girando su e giù per l’Italia. A dare la spinta decisiva per questo lavoro, dopotutto, è stata proprio la loro passione e il trasporto che gli hanno mostrato per la causa. Perché le storie che raccontiamo talvolta sanno essere connessione e condivisione e perché dietro ogni collezionista di oggi si nasconde un bambino alla ricerca dell’infanzia che fu. Di queste e di tante altre cose ne abbiamo discusso proprio con l’autore, qui su Soldatini Shop.

 

Come e quando è scattata la prima scintilla per Toystellers? C’è stato un incontro, un momento o un ricordo che ha contribuito ad accendere la lampadina?

Parto col dire che la relazione con i miei giocattoli è molto forte. Sono anni che li raccolgo e li colleziono, e ovviamente amo tenerli esposti in bella vista. Ebbene, un giorno mi ritrovo i miei nipotini in casa e li scopro ad osservare i giocattoli. Io e mia moglie eravamo dietro di loro, senza che se ne accorgessero. Ad un certo punto cominciano a dividerseli: ‘Questo è mio, questo è tuo’, come fossero un’eredità. Questa immagine ha fatto scattare immediatamente qualcosa dentro di me. Anche perché, aggiungo, purtroppo tutte le collezioni vivono una fine tragica: quando il collezionista viene a mancare, passano di mano e molto spesso finiscono ad eredi che non ne sono veramente interessati e che a loro volta le regalano o le vendono. Tornando ai miei nipotini, è molto probabile che faranno la stessa cosa con la mia di collezione, quando io non ci sarò più. Perciò mi sono detto: potrete vendere tutti i giocattoli che vorrete, ma ciò che rimarrà saranno le mie emozioni, la mia passione ed il mio amore per questi giocattoli. E questo è stato un po’ il fuoco scatenante del libro: il desiderio di lasciare un’impronta, un messaggio verso il futuro. Sì, diciamo che volevo dare un futuro ai miei giocattoli e ai miei legami con loro.

 

Quanto ha influito la tua professione nell’ottica di questo libro e più in generale rispetto a questa passione per i giocattoli?

Tantissimo. In realtà anche l’amore per la mia professione di pubblicitario nasce da bambino. Io mi sono innamorato di questo mondo proprio vedendo le pubblicità dei giocattoli in tv e leggendole sui fumetti di Topolino. Ripenso, ad esempio, alle pubblicità della Linea GIG sui supereroi. Pubblicità semplici ma cult, che anche a rivederle oggi mi trasmettono una purezza incredibile. Erano coinvolgenti, creavano una relazione tra te ed il giocattolo. In più, merita una menzione la sitcom ‘Vita da strega’, dove uno dei protagonisti (il personaggio di Darrin Stephens, ndr.) era un agente pubblicitario. Tutte queste influenze mi hanno convinto sin da subito: io dovevo fare il pubblicitario, perché mi piaceva troppo l’idea di doversi inventare delle cose nuove ogni giorno. E in effetti poi è diventato il mio mestiere. Un mestiere che, nel modo che ho di raccontare le storie, è entrato involontariamente anche nel libro. 

 

In Toystellers i protagonisti sono proprio i collezionisti, di cui hai raccolto diverse testimonianze. C’è ne una in particolare che ti ha colpito? Una storia tra le storie che ti ha lasciato qualcosa in più delle altre?

Sì, direi senza dubbio quella di Roberto Ballandi. È un collezionista che non conoscevo e si è messo subito a disposizione. Sono andato a trovarlo a Milano, dove mi ha aperto le porte di casa sua ma mi viene da dire che mi ha aperto anche il cuore. La sua intervista è stata quella che in qualche modo ha “sbloccato” il libro. È proprio grazie a Roberto che mi sono reso conto delle potenzialità emotive di Toystellers. Eravamo due sconosciuti ma lui, nel bisogno di raccontare, mi ha dato una carica pazzesca. Mi ha parlato della sua infanzia, del suo amore per i giocattoli, del fatto di averli tralasciati ad un certo punto per poi ritrovarli. È stato un punto di svolta totale, perché lì mi sono reso conto che il taglio che volevo dare al libro era proprio quello: non volevo interviste standard ma mi interessava raccontare delle storie. 

 

Tra l’altro, intervistando anche altri collezionisti (come Stefano Carini e Sergio Franchi), mi sto rendendo conto di una cosa: tutti vivono lo stesso percorso nella relazione con i propri giocattoli, che siano soldatini o altro. C’è una fase iniziale di amore, una centrale che potremmo definire “di abbandono”, di allontanamento, e poi il ritorno di fiamma in età adulta, quel qualcosa che riaccende un po’ il tutto.

Assolutamente, io credo che incarni alla perfezione l’archetipo del viaggio dell’eroe. C’è un momento felice, quello dell’infanzia, e poi c’è la perdita, un passaggio inevitabile dato dalla crescita e dalla maturazione di altri interessi. E infine scatta un meccanismo, qualcosa che ti convince a cercare l’emozione perduta. Ecco, questo è esattamente il viaggio del collezionista, un viaggio alla ricerca di un giocattolo perduto che in realtà è soprattutto la ricerca di un’emozione perduta. È questo il punto che ho cercato di far emergere nel libro. Ed è per questo motivo che poi piace molto anche a quelle persone che non collezionano, che non appartengono a questo mondo, perché anche loro si ritrovano in questa struttura narrativa che inevitabilmente ti coinvolge.

 

Mi piace molto la piega che sta prendendo questa chiacchierata. Parlando di storie e di struttura narrativa, devi sapere che io sono convinto da sempre di una cosa: tutto ciò che non racconti, in qualche modo non esiste veramente. Ecco, si può dire che con Toystellers sei riuscito a dare vita ai giocattoli?

Sì, il mio intento era proprio quello: io volevo che i miei giocattoli vivessero per sempre. A me piace dire che i giocattoli, se hanno una storia, vivono per sempre. La storia di chi li ha posseduti, di chi li ha cercati, di chi li ha realizzati, del ruolo che ricoprono nel contesto culturale, dell’impatto che hanno avuto nella vita di tanti bambini. Vedi, sul collezionismo esistono tantissimi libri, ma sono perlopiù dei libri tecnici dove si raccontano annate, colorazioni, varianti. Più che libri sono dei cataloghi, dei cataloghi ordinati e utili alla causa ma nella quale non c’è emozione. Toystellers è nato anche per questo: per rispondere a questo vuoto, a questo “buco di mercato”, se così possiamo definirlo. È un libro che parla di collezioni ma soprattutto di emozioni legate a giocattoli e a collezionisti. Quindi, tornando al punto, io sono d’accordo con te: le storie rendono vere le cose e, aggiungo, si portano dietro anche un pezzo di chi le racconta.

 

L’hai detto! Un libro è sempre molto più che le sue pagine siccome racconta, prima di tutto, la storia di chi lo scrive, del suo stesso autore. Per questo ti chiedo: quanto c’è di te in Toystellers?

C’è tantissimo, anche perché uno degli obiettivi era di far emergere il me bambino ed il mio percorso. E il libro comincia proprio così, con la mia storia. A partire dall’incipit (che si può leggere in appendice, ndr.) ho raccontato dei miei primi giocattoli e soprattutto di quello che poi è stato il mio ultimo giocattolo: Actarus della Fabianplastica. Ricordo di averlo desiderato per tantissimo tempo ma, appena me lo regalarono e me lo ritrovai tra le mani, mi resi conto di non provare alcuna emozione. Di colpo mi sembrò un pezzo di plastica vuoto. E lì capii che si era rotto qualcosa, che ormai avevo altri interessi.

Giocattolo da collezione

 

Insomma, eri appena entrato nella seconda fase del viaggio.

Sì, ma qui mi viene in mente una frase bellissima di Toy Story, che se non ricordo male pronuncia Woody. La frase è questa: ‘Non ha nessuna importanza per quanto tempo gioca con noi… L’importante è che siamo qui quando (Andy, ndr.) ha bisogno di noi! Solo questo è il nostro compito’. Ed è stato esattamente così nel mio caso, perché dopo trent’anni io sono tornato a riprendermi i miei giocattoli e loro erano lì ad aspettarmi. Del sottoscritto però non c’è solo questo, c’è anche, come dicevo all’inizio, un messaggio da lasciare alle generazioni future e a chi erediterà la mia collezione, ovvero i miei nipoti. A loro ho lasciato anche una raccomandazione finale: non rompeteli, non tirateli fuori dalle scatole e trattateli con cura, con lo stesso amore che ci ho messo io.

 

Sai, dal tuo racconto emerge che i giocattoli hanno un grande potenziale narrativo. Sono oggetti che raccontano storie, oserei dire manufatti narrativi. Ebbene, questa “narrabilità” secondo te è insita nella loro stessa natura o sono più i collezionisti a conferirgliela?

Domanda difficile. Il fatto è questo: secondo me non tutti i collezionisti donano davvero valore ai loro giocattoli. Me ne sono reso conto quando ho girato l’Italia per intervistarli. Alcuni di loro mi hanno raccontato dei loro cataloghi, senza donarmi alcuna storia. La cosa però non mi ha lasciato sorpreso: ci sono tanti collezionisti restii a condividere le loro collezioni, diciamo che è un po’ un difetto della categoria. Per mia fortuna però, durante il percorso di scrittura del libro ho trovato anche tanta disponibilità e generosità. Con alcune persone si è creata un’alchimia fantastica: mi hanno aperto le loro teche e i loro cuori, dedicandomi tempo e regalandomi le storie di cui avevo bisogno. Tante volte ho avuto l’impressione che Toystellers sia stato spinto proprio dalla passione di chi si è sentito coinvolto nella causa. Ora, mi rendo conto di essere finito un po’ fuori tema rispetto alla domanda, ma quello che sto cercando di dire è che quando le persone si innamorano di una storia, sono disposte ad impegnarsi per aiutarti a costruirla.

 

Parlando di collezionisti: l’arte del collezionare giocattoli si può intendere come una forma di evasione dal quotidiano, una fonte di ispirazione, un ritorno all’infanzia o cos’altro?

Io credo che ognuno collezioni per i suoi motivi, e tutti sono validi allo stesso modo. Detto ciò, il ritorno all’infanzia, che è un po’ un tentativo di ripescare delle vecchie emozioni, è sicuramente una delle prime leve. Poi da questa possono scaturirne altre, ma il meccanismo si riaccende lì, dalla vista di un giocattolo che ci ha fatto sognare.

 

Credi che il collezionismo sia un fenomeno destinato a sopravvivere, a sparire o magari a mutare nel tempo? Te lo chiedo perché, confrontandomi con altri collezionisti, ho avvertito come un senso di preoccupazione. In tanti temono che con il passare delle generazioni la fiamma sia destinata a spegnersi un po’ alla volta.

Questo è vero. In fondo chi ama questo mondo si chiede anche che cosa ne sarà. A me la prima cosa che viene in mente sono le carte Pokémon, ma non solo quelle: ci sono tantissimi oggetti oggi che vengono venduti con la scritta ‘da collezione’. E questi esempi sono un po’ una forma di collezionismo pensata per le nuove generazioni. Tornando alla tua considerazione: quello che dici è innegabile. Andando alle fiere, parlando con tanti collezionisti, tutti si domandano che fine faranno i loro giocattoli. Io però, proprio in quest’ottica continuo a portare avanti la mia idea: un giorno un trenino, un soldatino o un giocattolo di latta, potrebbero non essere più interessanti se non ci sarà più nessuno disposto a giocarci. Eppure, se intorno a quei giocattoli ci sono ancora delle emozioni, se sono legati a delle storie, non smetteranno mai di vivere.

 

Pur non volendo, siamo tornati al cuore di Toystellers: raccontare i giocattoli come missione, come modo per dare loro la possibilità di esistere per sempre.

Sì, è così, la mia convinzione è questa. Finchè ci sarà qualcuno che racconterà le loro storie, i giocattoli non moriranno mai. Per questo dico che a passare di mano da una generazione all’altra non dovrebbero essere soltanto i giocattoli ma il loro passato, il loro vissuto. È solo avendo bene in mente il loro passato che i giocattoli possono avere un futuro.

A cura di Nicola Chiacchio

 

Di seguito l’incipit di Toystellers.

“Alle 4 e 16 minuti del 5 settembre del 1977 dalla base NASA di Cape Canaveral a Houston la sonda Voyager venne lanciata in orbita, destinazione sconosciuta. Sulla plancia anteriore del Voyager venne incisa la scritta benaugurante “Per aspera ad astra”. L’augurio era per la sonda, certo. Ma anche per ciò che trasportava. Infatti, a bordo, lo scienziato e astronomo americano Carl Sagan aveva fatto mettere un disco d’oro contenente una raccolta delle migliori cose capaci di rappresentare la specie umana – nel caso una forma di vita extraterrestre avesse trovato il disco. Tale raccolta venne progettata per durare un miliardo di anni e includeva, tra le altre, musica da tutto il mondo, saluti in 55 lingue diverse, la quinta sinfonia di Beethoven, il canto dei Navajo, l’infrangersi di un’onda dell’oceano, il vento tra i rami di una quercia, il verso delle balene, il battito del cuore umano e il suono di un bacio. 

Intorno alle 12 e 30 Central Europe Time (quindi precisamente le 12 e 30 in Italia) nel corso del suo viaggio verso il confine del sistema solare, sulla Terra, in un quartiere alla periferia di Genova, in una casa all’ultimo piano, io ero appena rientrato da scuola. E se in quel preciso istante il Voyager avesse girato la sua fotocamera verso la Terra (cosa che effettivamente fece 12 anni, 5 mesi e 9 giorni dopo) probabilmente mi avrebbe immortalato nella mia stanza dei giocattoli o nello sgabuzzino di mia nonna a giocare con tutti i personaggi dei Fantastici 4 della Harbert, con Superman, Thor e Hulk, i Big Jim e i pupazzi di gomma di Paperino e Topolino.

Mi piace pensare che quella foto sia stata scattata veramente, a mia insaputa, e che una traccia di quei meravigliosi giocattoli sia ora in orbita nello spazio pronta ad accendere la curiosità e la passione in qualche essere extraterrestre… qualora gli capitasse sott’occhio. Ma perché non far strabuzzare gli occhi e rendere felici anche tutti gli abitanti della Terra? Questo libro – come una sorta di disco d’oro cartaceo – raccoglie il meglio dei miei giocattoli, della mia passione e della mia felicità nel giocarci quand’ero piccolo e nel cercarli e collezionarli da grande.

Nel libro, oltre alla mia, sono raccolte altre storie di giocattoli, collezioni e collezionisti, come traccia corale di questa folle e stupenda passione […]”.

Postilla dell’autore in riferimento alla foto allegata: Toystellers è alto quanto Big Jim e lungo come un Uomo Ragno della Mego (versione 12 pollici). Ci tenevo molto che avesse queste dimensioni”.

Libro Toystellers di Federico Ghiso. Storie di Giocattoli.

Storie di Giocattoli. Toystellers, un libro di Federico Ghiso

Per altre informazioni o per ordinare il libro, si può fare riferimento al sito ufficiale di Toystellers.